Mi hanno regalato un sogno.

Questa mattina, sedendomi davanti al pc, avevo deciso di scrivere un post molto ironico, perché avevo voglia di sorridere e di far sorridere gli altri.
Poi, girovagando sulla rete, mi è balzata agli occhi la storia di Beatrice Vio, Bebe, che in questi giorni è ospite di numerosi programmi televisivi, una giovane ragazza che per sopravvivere ad una malattia, ha subito l'amputazione dei quattro arti e che ha scritto un libro in cui racconta la sua storia ed il suo mondo, poi divenuta campionessa di scherma paralimpica e "bandiera" della voglia di vivere, di farcela nonostante tutto, e dello sport come terapia. Bebe è questo e tanto altro, è una grande atleta, una ragazza che ha deciso di non mollare, che ha preso la sua vita in mano facendone un sogno, proprio come il titolo del suo libro "Mi hanno regalato un sogno" dalla strofa di una nota canzone di Lorenzo Cherubini, che ne ha scritto la prefazione.
Leggendo il libro e pensando a lei, mi sono tornati alla mente i tanti ragazzi conosciuti lo scorso anno in ospedale, ragazzi e ragazze amputati ed in ricovero per imparare a vivere con le protesi, a conoscerle, a renderle parte della loro vita e del loro corpo. Ho trascorso moltissimo tempo con loro, un tempo in cui io ero affranta dai miei problemi e dal motivo per cui mi trovavo lì, eppure le giornate scorrevano più veloci con loro, a chiacchierare fuori dalla palestra, nell'attesa dei fisioterapisti, al bar, ai giardini a prendere i primi raggi di sole.
Questo e tanto altro mi è tornato prepotente in mente, a ricordarmi che ci sono tantissimi Bebe, che lottano tutti i giorni, che vivono vite difficili e che sanno trasformarle in qualcosa di unico, la loro vita, unica come quella di nessun altro e per questo bellissima ed insostituibile.
Cercando di tenermi il più lontana dalla retorica, il senso di questo post non vuole essere buonista, non vuole commuovere, perché credo che queste esperienze e queste vite ci servano per sorridere. Guardando Bebe in televisione ad alcuni potrebbe scappare un senso di tristezza e commiserazione ed è questo l'errore più grande che possiamo fare. Quelli da commiserare siamo noi, che non sappiamo svegliarci ogni mattino con un motivo per sorridere, che non sappiamo stupirci, che non sappiamo guardare oltre i nostri problemi. 
Bebe non è un caso isolato, potremmo essere noi, i nostri figli, i nostri nipoti, i nostri amici. Non pensiamo a lei con compassione, pensiamo a lei ed a tutti questi ragazzi con ammirazione, perché non tutti noi saremmo capaci di non farci sopraffare e riuscire a realizzare, nonostante tutto, i nostri sogni, toccando grandi traguardi, lontani anche per molte persone "normodotate".
Per alcuni dei ragazzi che ho incontrato, il sogno poteva essere anche una semplice uscita con gli amici, una vacanza, una corsa, un amore, una sigaretta in compagnia. Tra le mura di un ospedale si impara che per ridere di gusto basta la nostra ironia, che uscire per fare due passi può costituire un traguardo importante. Eppure noi, senza nessun problema alle spalle, non riusciamo ad essere felici neanche per questo e tendiamo ad abbandonare le nostre aspirazioni nel fondo di un cassetto, o molliamo la presa al primo problema che ci si pone davanti.
Il limite più grande è quello che mettiamo alla nostra mente, la nostra voglia di non fare, di non riuscire, ci poniamo dei problemi inesistenti, ci crucciamo dell'insulso. Non abbiamo la forza per fare quelli che sono i nostri doveri quotidiani, figuriamoci per cambiare la nostra vita ed i nostri pensieri, trasformandoli in positivo.
Non aspettiamo di vedere Bebe in televisione, come sta accadendo ora, per sentirci fortunati, per smettere di lamentarci, per renderci conto di quanto la vita sia meravigliosa. Chi è traboccante di vita lo sarà sempre, chi tende a lamentarsi continuerà a farlo, non appena spenta la televisione. Cerchiamo di cambiare rotta. Cerchiamo di imparare a sentire il cuore che ci esplode nel petto per la voglia di fare che abbiamo, la voglia di vivere la vita in tutte le sue sfaccettature, anche quando la vita non ci offre molto. Cerchiamo di percepire la vita in ogni suo granello, anche mentre muoviamo velocemente le dita sulla tastiera, mentre osserviamo lo scorrere delle nostre giornate, quando gli impegni sono troppi e vorremmo averne di meno. 
Il post ironico lo rimando a domani, perché oggi ho preferito scrivere questo e pensare ai ragazzi conosciuti nella Fondazione Santa Lucia, ho preferito sorridere ripensando alle risate di quei giorni, ai grandi sorrisi fatti e ricevuti. Le mie migliori risate le ho fatte quando avrei dovuto piangere, perciò oggi rinuncio volentieri all'ironia, per riflettere un pò.
State sorridendo?
No?
Allora fatelo.
I piccoli problemi potrete rimandarli a dopo, i grandi li affronterete molto meglio.

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